Bianchi Rossi e Bollicine

Bere bene spendendo il giusto.

Bianchi Rossi e Bollicine

Bere bene spendendo il giusto.

Un vitigno inespresso, i Romani, il 50° parallelo.

2021-04-10 16:01:47

Antonio Dacomo prosegue il suo racconto sui legami tra il mondo del vino attuale e certe storie di duemila anni orsono. Parliamo del Riesling renano.

Nel nostro affascinante viaggio a ritroso in compagnia di Antonio Dacomo questa volta ci spingiamo a Nord, molto a Nord se consideriamo  che si parla di uva e vino, verso quelli che sono ritenuti i limiti per la coltivazione della vite. Siamo in una regione ai confini tra Francia, Lussemburgo e Belgio. Ma noi restiamo sul versante germanico, dove scorrono pigramente la Mosella e il Reno. E scopriamo che, dopo aver conquistato queste terre a seguito di dure campagne militari, i legionari rimasti a presidio della Provincia hanno sete. E non si accontentano di acqua. E neppure del modesto vinello che si ricava dalle poche viti presenti sul posto. D’altra parte, mandare fin lassù il generoso vino italico a cui i legionari sono abituati ha dei costi semplicemente insostenibili.
A questo punto torna in scena un personaggio che già abbiamo imparato a conoscere, l’Imperatore Marco Aurelio Probo. Che decide di mandare in quelle regioni un vitigno che conosce bene, essendo di origini slave come lui.
Secondo altri studi si tratterebbe invece di un vitigno italico, che però da noi non godeva di grande considerazione perché coltivato in regioni dal clima troppo caldo per metterne in luce le qualità. Magari li manda tutti e due, comunque non è così importante. Quel che conta è che dagli incroci di questi vitigni con le modeste uve locali nasce una delle più importanti produzioni che attraverso i secoli giungerà fino a noi: quella del Riesling renano.
A seguire, Roberto Re, altra firma che col tempo ci farà compagnia, ci spiega come affrontare la scelta di un Riesling renano orientandoci nella jungla di etichette, denominazioni, territori, selezioni e menzioni particolari che caratterizzano questa sterminata produzione. Utlissimo da consultare prima di andare in enoteca a cercare un Riesling renano, giusto per non perdersi nel mare di proposte che potrebbero piovervi addosso.
Molto spesso i grandi vini nascono da coincidenze od errori; qui il caso fortuito è l’incontro tra un vitigno che al caldo della Croazia e del sud Italia era inespresso, i Romani, con la loro necessità di vino e un accampamento romano molto a nord, nella Gallia, sopra il 50° parallelo.
E’ la storia del Riesling renano, considerato da molti il più grande vitigno del mondo.
In una delle aree più belle della Germania, non molto lontano dal confine con il Lussemburgo, la Francia e il Belgio, in una delle regioni vinicole migliori del paese si trova Treviri, un piccolo centro fondato dai Romani, molto ben conservato, con bellissimi monumenti ancora in ottimo stato, una sorta di “piccola Roma”.
In epoca imperiale la popolazione ammontava a circa 80 000 abitanti, tanto che Augusta Treverorum era considerata la più grande città a nord delle Alpi.
La città di Augusta Treverorum, capoluogo della provincia romana della Gallia Belgica, nel territorio della tribù gallica dei Treveri, fu fondata nell'anno 16 a.C., nei pressi di un insediamento militare risalente al 30 a.C.. Questo fa di Treviri una delle città in assoluto più antiche di tutto il territorio tedesco. Capoluogo d'una delle provincie della Renania, posta sulla destra della Mosella, non lontana dalla confluenza della Saar, si trova ad un’altezza di 123 m.s.m. Fu cittadella avanzata dei Romani a guardia d'un importante passaggio del fiume, nel luogo dove il corso, inciso negli strati del Trias, è ancora abbastanza largo e diventa navigabile, poco prima d'iniziare con una stretta valle il passaggio attraverso i Monti Scistosi Renani. E sembra proprio che il primo ponte romano sul fiume sia stato costruito attorno al 17 a.C., sito di un probabile guado (ancora oggi si trovano i pali della fondazione del ponte sulla Mosella).
Difesa dai venti, la località ha un clima assai mite; i dintorni sono fertili e la vite copre le colline, mentre più in alto il rilievo è rivestito da boschi e verso la sommità appare in rosse pareti l'arenaria. La città al tempo dei Romani aveva notevole valore come nodo stradale (all'incrocio della via che verso Nord conduceva a Colonia con quella che verso Est superava la depressione di Wittlich) e nel Medioevo conservò importanza per essere divenuta sede vescovile.
Dalla sua fondazione, Augusta Trevororum necessitò negli anni di considerevoli approvvigionamenti di grano, olio e vino. Quest’ultimo era di vitale importanza per i legionari che combattevano contro i Galli nelle varie campagne e il suo approvvigionamento doveva essere abbondante per ogni soldato. Là, lontano da Roma, erano presenti oltre 450.000 uomini che avevano incessantemente sete di vino e il loro ristoro doveva essere tenuto in debito conto.
Pare certo che un vitigno autoctono esistesse già all’arrivo dei romani e ci fossero già tracce di viticoltura nei terreni contigui ai boschi. Vista la scarsa produzione di vino locale, dovuta a viti non adatte al clima freddo, l'imperatore Marco Aurelio Probo, nel 280 d.C., per contenere i costi di trasporto del vino fino ai confini dell’Impero, oramai diventati insostenibili, ordinò e impose che a Nord venisse coltivato solo il vitigno Heunisch (varietà autoctona della Croazia).
Solo un'ulteriore ricerca genetica potrà svelare l'enigma del Riesling, ma la soluzione sembra essere tutta romana. Per un verso il vino della Valle del Reno è geneticamente figlio di un incrocio fra l'Heunisch e un tipo di vite selvatica. Secondo altre analisi, la Valle del Reno è lo straordinario habitat del vitigno romano Argitis Minor, capace di esaltare tutte le proprie qualità solo in aree dal microclima più rigido di quello mediterraneo. Coltivato in Campania in epoca romana, ne danno notizia sia Plinio nel libro IV della Naturalis Historia sia Columella nel libro III del De Agricoltura. Non c'è da stupirsi che questi autori inseriscano l'Argitis in una qualità media, in quanto il territorio campano difficilmente può essere ritenuto adatto per questo vitigno che esprime le sue qualità migliori in zone piuttosto fredde. Secondo alcuni celebri ampelografi il Riesling Italico altro non è, ancor oggi, che un fratello gemello del Welschriesling renano. Quanto all'insediamento dell'Argitis Minor e dell'Heunisch lungo il Reno e nella splendida valle della Mosella, è accertato che gli impianti viticoli risalgono all'epoca romana.
In tutta la valle i Romani hanno lasciato monumenti che sono ancora oggi testimonianza della loro grandezza. Il ritrovamento di una grande nave da trasporto fluviale ci mostra come il vino venisse prodotto non solo per il consumo del luogo, ma anche per il commercio in tutto l'impero.
Quello che possiamo dire con certezza è che grazie a questa scelta di imporre a tutto il Nord dell’Impero il monovitigno, è stato possibile creare quelli che oggi sono i tre quarti del panorama viticolo europeo, grazie agli incroci di quel monovitigno con le uve autoctone dei luoghi in cui è stato coltivato.
Con il passare dei secoli toccò a Carlo Magno, verso l’800, promuovere con decisione lo sviluppo della viticoltura tedesca, emanando una serie di leggi in favore di vignaioli e commercianti, con l’obiettivo di incentivare la selezione dei vitigni e delle zone dal maggiore potenziale. Durante tutto il millennio seguente, invece, furono i monasteri ad assumersi il ruolo di divulgatori della cultura qualitativa e quantitativa del vino. Nel XIIsecolo, alcuni monaci cistercensi provenienti da Citeaux, in Borgogna, fondarono nella regione renana il monastero di Eberbach, che nel giro di pochi anni divenne l’azienda vinicola più grande e famosa d’Europa. Questo fu solo uno dei numerosi traguardi dell’enologia teutonica, la cui espansione culminò nel XVI secolo con un patrimonio viticolo di 300.000 ettari (il triplo di quello odierno!) e un consumo pro-capite di 120 litri all’anno (il quintuplo di quello attuale!). Curiosità: nell’inverno 1985/86 all’abbazia di Eberbach furono girati la maggior parte degli interni per il famosissimo film “Il Nome della Rosa”.
Antonio Dacomo