Bianchi Rossi e Bollicine

Bere bene spendendo il giusto.

Bianchi Rossi e Bollicine

Bere bene spendendo il giusto.

Per una volta parliamo di Birra. O meglio, di birre con il mosto d’uva. Semplicemente sorprendenti…

2021-08-27 09:08:09

Antonio Dacomo ci accompagna alla scoperta di un birrificio artigianale davvero particolare: vediamo dove, come e perché. Con una gustosa anteprima: due birre prodotte con il mosto di Nebbiolo.

Da quando nel 1996 Teo Musso a Piozzo aprì la strada alla produzione di birra artigianale sembra passata un’era geologica. Oggi i birrifici artigianali sono disseminati in tutta Italia e ognuno è riuscito a conquistarsi una fettina di mercato e soprattutto l’attenzione di un pubblico affezionato. Merito sicuramente dei Mastri Birrai che si sono cimentati nell’avventura spinti da autentica passione e capaci di creare prodotti con una precisa personalità.
Fra i tanti nomi presenti Antonio Dacomo ci porta a conoscere da vicino uno dei più interessanti, non solo per la qualità dei prodotti ma anche per la loro originalità, in particolare gli ultimi due nati, che fanno uso di mosto d’uva come elemento basilare di tutta la lavorazione. Parliamo del birrificio Soralamà di Vaie, in valle Susa.
Siamo proprio all’ingresso della valle, ai piedi di quel gioiello incantato che è la Sacra di S.Michele, magnifico testimone di tempi medievali, che evoca immediatamente le pagine de Il Nome della Rosa di Umberto Eco.
Ma noi restiamo qui in basso e ci facciamo raccontare dai protagonisti nascita, storia e realtà attuale di questo birrificio oggi accreditato tra i primi 15 produttori di birra in Italia. Storia quindi di successo e soprattutto di idee originali portate avanti con caparbietà, tenacia e competenza. Non è un caso se le birre con il mosto d’uva nascono da una collaborazione tra Soralamà e le cantine Ascheri, che già vi abbiamo presentato in precedenza, altro nome che pur restando saldamente ancorato alla tradizione accetta volentieri nuove sfide su sentieri inesplorati. Ci vuole coraggio per lanciarsi in produzioni come queste, che nella migliore delle ipotesi sono comunque destinate a rimanere prodotti di nicchia e quindi dal potenziale economico sicuramente limitato. Ma per certi produttori è più importante vincere la sfida di portare al successo un’idea originale e innovativa che non privilegiare solo tutto ciò che promette maggiori opportunità sul piano economico. Seguiamo Antonio nella sua visita e fra qualche giorno ci sarà anche una chicca da parte di Roberto Re, la degustazione delle due birre più particolari, le ultime nate.

Birre con il mosto d’uva? A dir poco sorprendenti…
Dunque siamo a Vaie, porta di quella valle Susa che spesso è protagonista di cronache piuttosto movimentate legate alla famosa ferrovia. Ma qui, come già detto, quella che domina in tutti i sensi è la sagoma imponente della Sacra di S.Michele, abbazia risalente all’XI secolo e indubbia fonte d’ispirazione per l’ambientazione de Il Nome della Rosa di Umberto Eco. Noi però, pur subendo il fascino di quel gioiello architettonico o di alcune produzioni locali molto particolari (Baratuciat, Becuet e Avanà se vogliamo parlare di vini, poi formaggi vari e mieli pregiati) siamo venuti qui per la birra, quella prodotta dal birrificio Soralamà.
Il marchio Soralamà nasce nel 1999 in val Chiavenna, giocando a mischiare i soprannomi dei due fondatori. Più tardi, nel 2004, arriva in val di Susa grazie al vulcanico Davide Zingarelli, patron della Simatec, azienda di riferimento nel settore della costruzione di impianti per la produzione di birra artigianale. Dall’incontro con Lorenzo Turco, bravissimo Mastro Birraio, radici nelle langhe e studi enologici nel suo passato, fulminato dalla passione per la birra nel corso di un Erasmus, nasce il birrificio Soralamà così come lo conosciamo oggi. Cioè questo moderno edificio “tutto-vetri” dove si notano subito dall’esterno i macchinari di produzione. L’acciaio inox la fa da padrone, la pulizia regna sovrana. Autoclavi si alternano a caldaie e a macchinari per la cotta; d’altronde non c’è molto da vedere in un birrificio, è tutto tecnologia e basse temperature. Lorenzo ci illustra dei macchinari nuovi per il filtraggio dei lieviti, pare molto sofisticati, d’altronde qui è tutto Simatec.
A Vaie la qualità delle birre Soralama’ è un progetto che cresce e si sviluppa da vent’anni. Nati quando il movimento delle birre artigianali muoveva i primi passi oggi, con una produzione di 4.000 ettolitri (cioè ben 400.000 litri, detto così forse rende meglio l’idea…) all’anno, sono tra i primi 15 biriffici in Italia. Acqua, passione e territorio sono le parole magiche di questa realtà. D’altronde la qualità dell’acqua è elemento imprescindibile per fare una buona birra. I nostri amici scelgono Vaie per le qualità organolettiche dell’acqua che ha caratteristiche da fonte alpina e fino qualche tempo prima era imbottigliata come acqua minerale San Michele.
Attualmente in produzione ci sono 16  tipi di birre, disponibili sia in fusto che in bottiglia. Si può spaziare dalla classica Slurp superpremiata in varie occasioni a cose molto particolari come la Genny al fiore di genepy o la Divine, nata dalla collaborazione col prestigioso birrificio belga Brasserie Minne, che prevede l’aggiunta di mosto d’uva rossa concentrato a freddo.
Si può dire che l’incontro tra mosto d’uva e birra è antico quanto l’invenzione della birra stessa. Analisi fatte su residui di alcune giare trovate in acquartieramenti longobardi del nord Italia mostrano chiaramente tracce di tecniche simili in uso già a quei tempi. Ed è proprio per queste contaminazioni con il vino che le nuove produzioni di Soralamà mi hanno incuriosito. Una collaborazione con la cantina Ascheri, che conferisce il mosto di Nebbiolo, in un lavoro a quattro mani, due enologi: Lorenzo Turco, da una vita passato alla birra e Giuliano Bedino, enologo di Ascheri. Si è partiti dall’idea di dare risalto alla parte mosto d’uva, spesso messa in secondo piano nelle IGA e alla tecnica di “birrivinificazione”. Da uno stesso mosto appena pigiato di uva Nebbiolo da Barolo si sono ottenute 2 IGA: una chiara e una rossa. Dopo parecchie prove di rifermentazione, affinamento, blendaggio, finalmente sono pronte. Da privilegiato assaggio in anteprima due birre con l’anima del vino dai colori completamente diversi e dai sapori molto piacevoli. La sensazione amara è predominante ma il frutto che si combina con i sentori di birra è davvero  entusiasmante. Di sicuro sarà un nuovo modo di bere e l’abbinamento col cibo sarà più esaltante che mai.
Antonio Dacomo