Apre più di mezzo secolo prima della Rivoluzione Francese, tanto per dare un’idea di quali enormi trasformazioni non solo della città ma del mondo intero abbia attraversato. Vede la nascita dell’Italia unita, nel 1861, e soprattutto annovera tra i suoi clienti abituali quel Camillo Benso conte di Cavour che di questa nuova Nazione è stato uno dei padri fondatori. Nei pochi anni in cui Torino è stata capitale d’Italia si trova di fronte al neonato Parlamento del Regno d’Italia e ne diviene di fatto la succursale, dove gli incontri politici continuano ai tavoli delle sue sale eleganti ed ovattate.
Conosce nella sua lunga avventura periodi di gloria ed altri meno fortunati, come sempre accade. Persino una chiusura, che i torinesi hanno vissuto come una ferita all’anima della città. Ma per fortuna la sua essenza, il suo stile vengono sempre preservati e riproposti per la gioia di chi ha la fortuna di frequentarlo.
Questo il primo pensiero che ti viene in mente passando per questi luoghi. Siamo a Torino, in piazza Carignano, di fronte a quello che è stato il primo Parlamento del Regno d’Italia. "Ristorante del Cambio", saloncino Cavour, atmosfera da Florian a Venezia.
Vino centesimi 15, pane 10, risotto cent. 20, costoletta 40 e formaggio cent. 15. Totale lire 1.
In questo mitico, romantico, risorgimentale ristorante a due passi dal Palazzo reale, Camillo Benso, Conte di Cavour, mangiava così, con menù di questo genere. Sempre lo stesso tavolo, in posizione strategica, per controllare, oltre le tende color rosso e sabbia, la facciata barocca in mattoni di Palazzo Carignano e il suo lungo balcone al primo piano. Bene in vista, per ricevere eventuali segnali e nello stesso tempo mantenere l’occhio vigile su chi entrava e usciva dal Parlamento.
E come si fa a non ricordare tutti i catering che abbiamo fatto all’esterno, con partenza dalle cucine del Turin Palace di via Sacchi. Qualche anno più tardi ho lavorato anche con Matteo Baronetto, attuale chef del “Cambio”, quando agli albori della sua carriera, appena uscito dall’alberghiero di Pinerolo, venne in cucina da Gualtiero Marchesi per uno stage. Sono passati 25 anni…
Il Teatro Carignano fu inaugurato a Pasqua del 1753 con la “Calamita dei Cuori” di Carlo Goldoni. Nel 1757 a lato del teatro furono costruiti degli edifici tra i quali trovò posto anche il “Caffè Cambio”, che prese tale appellativo dal fatto che piazza Carignano era il luogo di appuntamento per gli uomini d'affari e borsa di scambio per i negozianti.
Grazie alla vicinanza col Teatro Carignano il "Cambio” era anche passaggio obbligato per chi, in occasione di balli e spettacoli, voleva incontrare il bel mondo del tempo.
A lato del Teatro sorgevano due lunghi porticati, uno dei quali nel 1822 venne chiuso con una intelaiatura a vetri; è questa la data di nascita del “Ristorante del Cambio”, con quel saloncino che passerà alla storia come “sala Cavour”. Con il ristorante, il “Cambio” lega la sua sorte alla Camera dei Deputati, tanto da farlo definire dai giornali “la succursale del Parlamento”. Nel 1865, quando la capitale viene trasferita a Firenze, il ristorante continua a servire il Teatro Carignano durante balli e spettacoli.
Nel 1910, in occasione delle onoranze per Il centenario della nascita di Cavour, Giacomo Bonotto, proprietario di allora, provvede a mettere una targa al posto dove lo statista era solito pranzare.
Quando nel 1958 Cappellino muore gli subentra, a fianco della moglie Anna, Michele Parandero, anche lui già cameriere nel Ristorante stesso. La sua carriera si snoda come quella di Cappellino, diventando la persona più idonea a proseguire le tradizioni del “Cambio”. A fine 1958 anche Anna Cappellino muore e lascia i suoi beni a Michele Parandero che da quel giorno diviene proprietario del “Cambio”.
Dal 1962 al 1973 il “Ristorante del Cambio” si fregiò meritatamente della stella Michelin che venne riconfermata dal 1979 al 1988.
A metà degli anni ’80, a dirigere questo simbolo della storia regale di Torino, con i suoi neoclassici stucchi bianco e oro, le specchiere, gli imponenti lampadari di cristallo, i famosissimi dipinti sul vetro di Roberto Bonelli con putti danzanti e figure mitologiche, i suoi cristalli di rocca, è stato uno dei direttori più giovani d'Italia, Bruno Casetta, Vice Campione del Mondo dei Sommelier.
Da quando Bruno Casetta prese in mano le sorti del “Cambio” il tono e la qualità si alzarono nettamente di livello. Casetta fu infatti promotore e artefice di un radicale rinnovamento, spaziando dalle tovaglie di Fiandra alle cristallerie passando per la tinteggiatura d'oro sulle colonne. In cucina promosse il passaggio da 5 a 8 persone e nelle sale da 18 a 26. Lasciò il segno anche sul menù, inserendo fra i piatti della tradizione piemontese primi e pietanze dell'antica cucina aristocratica e borghese. Come ha scritto Simonetta Carbone:
Entrare al “Cambio” è, anche per i torinesi più torinesi, un’emozione, anzi un susseguirsi di emozioni che difficilmente possono essere descritte.
Nel 1984 arriva al Cambio. È affascinato dalle ricette riportate su antichi testi di cucina, le elabora proponendo in chiave moderna “un mangiare da re” che pienamente si addice alla caratteristica del locale. L'apporto di Casetta e Maionchi, si è dimostrando decisivo per il rilancio di questo locale che da troppo tempo viveva soltanto sul nome, come una gestione la cui attenzione andava più alla Storia che all'Arte culinaria. E questa arte non si rinnovava.
Peccato che nel 1989 venga declassato, togliendogli la stella Michelin, ma non è così importante: tanto per il Cambio non basterebbe tutto il firmamento. La foto è un po’ datata, come vedete tratta proprio da un album di ricordi, però ritrae al completo la squadra di quegli anni.
Si potevano gustare le proposte della grande carta di impronta classica e tradizionale piemontese oppure i piatti di creatività della “lista del giorno”, elaborati con tecniche moderne da Angelo Maionchi. Inoltre veniva proposto un menù degustazione, che cambiava ogni mese, composto da 5 portate: piatti di tradizione piemontese e di tradizione del “Cambio”, spesso ispirati alla cucina Reale di Bergese.
Nel menu “mangiare da Re” con il Sauvignon del Collio ‘87 di Puiatti si potevano gustare uno storione al limone, i filetti di sogliola, poi lo Champagne e la grenadine di coniglio alla Pontoise. Un favoloso Brunello di Montalcino Tenuta Col d'Orcia 1983 accompagnava dei favolosi ravioli Reali d'Italia, una crema di perniciotti e una noce di vitello alla serpentaria. Si chiudeva con creola di banane guarnita di pasticceria fatta in casa e gelatina di frutta al vino Sauternes, accompagnate da Caluso passito 1980 di Giuseppe Gnavi.
Per chi desiderava la grande tradizione piemontese non esisteva che l'imbarazzo della scelta: si potevano scegliere i tajarin amati da Cavour, la fonduta, la finanziera del "Cambio" con semolino dolce, il bollito misto, funghi e tartufi a volontà, la terrina di trota o di fagianelle al tartufo, il risotto Casa Reale, gli agnolotti Vecchio Piemonte, il brasato al Barolo, la carbonata Vecchia Torino.
Piatti più leggeri: l'insalata di funghi porcini all'olio di oliva e limone, quella di granchi e gamberi all'olio di basilico, una tenera sella di agnello al timo, una fricassea di pescatrice e scampi al vino rosso e funghi o uno stufato di pesce rospo al Barbera e ai funghi porcini, quest'ultimo definito da Henry Gault:
un'unione vellutata di delicati sapori, una meraviglia del tempo passato.
A proposito del restyling possiamo dividerlo in due aree distinte. Affreschi, mobili e arredi d’epoca, specchi, boiserie e lampadari della Sala Risorgimento vengono restauranti permettendo al luogo di rimanere fedele a se stesso. Nello stesso tempo la sala adiacente diventa più contemporanea grazie alle installazioni di Michelangelo Pistoletto e a poltrone e tavoli realizzati dal designer Martino Gamper.