Ebbene, come il nome lascia chiaramente intuire, questo mito dell’enologia deve le sue origini alle legioni di Roma che fin dai tempi di Giulio Cesare conquistarono le Gallie, lasciando per sempre il segno di questa presenza.
Un’altra tappa di questo viaggio nel tempo in cui Antonio Dacomo ci accompagna a scoprire l’influenza di Roma nella diffusione della viticoltura e quindi nelle produzioni enologiche che ancora oggi ci ritroviamo.
Qui di seguito l’argomento è sviluppato nei dettagli, con la solita competenza che non diventa mai noiosa accademia anzi, mantenendo una piacevolezza che accompagna tutta la lettura.
Altre due puntate seguiranno, una dedicata al Riesling e al suo scenario geografico, vale a dire i confini settentrionali del mondo vinicolo. Parleremo infatti di regioni al confine franco-tedesco, situate al limite del 50° parallelo, dove le condizioni climatiche hanno richiesto la tenacia e la curiosità portate dai colonizzatori di Roma per trovare le viti adatte a questi luoghi. E questo discorso, per ragioni di contiguità geografica, si potrà adattare in buona parte a quanto avvenuto nella vicina regione dello Champagne.
Concluderemo poi spostandoci nella regione di Bordeaux e verificando come anche qui l’impulso decisivo, il cambio di passo, l’introduzione delle varietà che ancora oggi costituiscono la spina dorsale di questa pregiata produzione vinicola siano da considerare conseguenza della dominazione romana.
Vesonzio è famosa per essere stata uno degli oppida più importanti della Gallia. E’ lo stesso Giulio Cesare che ne parla per la prima volta nel “De Bello Gallico”. I Romani ingrandirono la città, costruendo numerosi edifici da una parte e l'altra del cardo (l'attuale Grande Rue), e perfino dall'altra parte del fiume Doubs, dove costruirono un anfiteatro che poteva contenere fino a 20.000 persone (attuale Rue d'Arènes). Altre vestigia dell'epoca romana sono la Porta Nera (eretta sotto Marco Aurelio nel 175 d.C.), i condotti dell'acquedotto, alcuni mosaici tra i quali spicca quello detto "la Medusa", ritrovato in una domus romana della città.
Secondo quanto riferisce E. de Moucheron nel testo “Grands Crus de Bourgogne, Histoires et traditions vineuse” (1955), furono le legioni romane a portare la vite in Borgogna. A seguito di ciò, i Galli diedero vita ad una intensa produzione vinicola, che entrò ben presto in competizione con i vini fatti in Italia, cosa che resterà una costante nei secoli a venire. Per frenare dunque la produzione di vino in Francia e limitare la concorrenza con i vignaioli latini, l’imperatore Domiziano emanò un editto nel 92 d.C. in cui si ordinava l’espianto dei vigneti della Gallia. Questa situazione si protrasse per circa 200 anni e solo nel 281 d.C. l’imperatore Probo revocò il divieto. Il popolo della Gallia iniziò allora, col supporto dello stesso esercito romano, a reimpiantare viti, importando talee prevalentemente dall’Italia, Svizzera e Narbonne. In realtà, appare più verosimile che lo stesso imperatore Probo imponesse alle colonie la scelta di un unico vitigno, selezionato in quanto particolarmente resistente. Recenti studi di genetica, tramite analisi del DNA, hanno infatti dimostrato che le viti della Borgogna discendono tutte da un antenato comune, un vitigno che Probo aveva fatto arrivare dalla Dalmazia. In ogni caso, nel corso dell’opera i Galli vollero esprimere la loro gratitudine all’imperatore per la ritrovata prosperità, dedicandogli un vigneto che chiamarono Romanée; l’imperatore, lusingato, coniò una moneta con impressa la sua immagine e sull’altra faccia un grappolo d’uva.
Nel 1760 la famiglia de Croonembourg decise di vendere la proprietà e dopo aspra contesa nientemeno che con Madame de Pompadour, favorita del re Louis XV, la spuntò il principe Louis François I de Borbone-Conti. Da quel momento il Domaine è conosciuto come Romanée-Conti, probabilmente il nome più leggendario di tutto il mondo vinicolo.