Bianchi Rossi e Bollicine

Bere bene spendendo il giusto.

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Cristina Ascheri: una storia di famiglia che sembra un romanzo.

2022-02-07 15:18:27

Antonio Dacomo raccoglie in una lunga chiacchierata la storia di famiglia raccontata dalla signora Cristina Ascheri, ancor oggi attivissima nelle omonime cantine guidate dal figlio Matteo. Una storia che attraversa tre secoli e ci porta dall’Ottocento ai giorni nostri. Ne potrebbe uscire una serie di successo…

A: Cristina, da quanti anni ci conosciamo!

C: Io a dirti la verità da quanti non lo so, comunque sono davvero tanti. Ma per me è sempre piacevole ricordare.

A: Io mi ricordo bene di Villa Sassi ma sicuramente ci conosciamo da molto prima.

C: A Torino con le Donne del Vino facevamo molte manifestazioni e sicuramente ci siamo visti in qualche occasione.

A: Infatti, di sicuro ti ho incontrata con Mariuccia Borio, che conosco da sempre.

C: Io nel mondo del vino ci sono sempre stata, sono nata nel vino.

A: Raccontami i tuoi inizi, sono curioso…

C: Io sono figlia di un produttore di vino, Francesco Vignola. Più che altro era un commerciante, non aveva terreni con l’uva. Mia mamma gestiva un negozio in via Cuneo e lì cominciò la mia avventura con il vino. Allora si cominciava molto presto a lavorare; si tornava a casa da scuola, si posava la cartella e dovevi aiutare. Mi ricordo che mio padre imbottigliava queste bottiglie di vino e io dovevo sistemarle sotto le botti grandi, coricate. Eravamo io e mia sorella ma in questo posto ci passavo solo io, era proprio angusto. Mia sorella d’altra parte non si è mai interessata a questi lavori, lei era molto studiosa. Invece quando io ero libera mio papà mi coinvolgeva in questa sua attività, soprattutto nella contabilità. Mi faceva andare all’ufficio daziale di Bra. A quei tempi,  quando dovevi trasportare del vino, ti davano una bolla che si doveva far vidimare e mio padre mandava me, ormai mi conoscevano. Adesso sembra un sogno ma allora era veramente così, io ero talmente piccola che una volta entrata nell’ufficio non arrivavo all’altezza del bancone.

Questo è stato il mio primo approccio col vino, approccio che allora non ho mai troppo amato, perché una volta iniziate le medie le mie compagne mi chiedevano cosa facesse mio padre. Il papà delle mie amiche faceva il dottore, l’avvocato o l’impiegato di banca. In quegli anni non era proprio motivo di orgoglio dire che tuo padre produceva vino, non era un mestiere qualificante come al giorno d’oggi.

A vent’anni mi sono sposata con Giacomo Ascheri, titolare dell’Azienda omonima, a quell’epoca già solidamente impiantata a Bra dopo essersi qui trasferita da La Morra fin dal 1880. La famiglia Ascheri, vignaioli e produttori da sempre nella Cascina di Borgata Ascheri a La Morra, aveva deciso di spostarsi a Bra per la grande difficoltà di trasportare il vino in botti, in damigiane o in bottiglie ai vari mercati. Tutte le aziende dislocate nelle Langhe avevano questa problematica di commercializzazione. Pensate, alla fine del ‘800, portare con i carri trainati da cavalli o buoi il vino fino a Torino, dovendo attraversare il Tanaro. Un viaggio quasi  impensabile, con le strade di allora; durava giorni e giorni.

Queste zone bellissime, oggi “patrimonio dell’Unesco”, hanno sempre prodotto degli ottimi vini, il problema era la commercializzazione. Nessuno andava a La Morra o negli altri centri ad acquistare il vino, bisognava portarlo a destinazione. Il mercato principale del vino “sfuso” era in Piazza Carlina a Torino, quindi gran parte dei vignaioli delle Langhe ne era tagliata fuori e letteralmente “moriva di fame”. Ecco perché la famiglia Ascheri si era trasferita già nel 1880 a Bra. Il nonno di mio marito, anche lui Giacomo, cresciuto in questa famiglia patriarcale dove lavoravano tutti, da ragazzo di 18 anni si rese conto che il lavoro era tanto ma i risultati scarsi (tanto è vero che il famoso scrittore Beppe Fenoglio aveva soprannominato queste zone “le colline della malora”). Decise quindi di trasferire la piccola cantina a Bra, prese in affitto una cascina (dove noi attualmente abbiamo l'osteria) in una posizione strategica, vicino alla stazione ferroviaria e incominciò a produrre i suoi vini. A Bra già esistevano ben otto cantine che producevano vino. La cittadina era un centro commerciale vivacissimo (pellami, formaggi, ortofrutta e vino), servito dalla ferrovia per tutta la pianura fin dal 1855, vera chiave di volta per tutte le attività. Bra è stata una cittadina veramente importante per il commercio, pellame soprattutto; per esempio il Senator Sartori aveva una grande e importante conceria.

 La crisi degli anni ‘30 e le guerre furono causa di chiusura per tutte le aziende vinicole braidesi, a parte Ascheri che fortunatamente prospera ancora oggi. Nella piccola azienda Giacomo Ascheri aveva coinvolto tutta la famiglia; chi lavorava nelle vigne e chi in cantina. La moglie portava avanti la cascina di La Morra e anche la casa. Lui, oltre che di produzione, si occupava anche della vendita, girando per commercializzare il suo vino un po’ dovunque. Negli anni ’30 si ampliò, aprendo una piccola cantina in cortile e nonostante la crisi le cose andarono bene e il loro commercio continuò a consolidarsi. Grazie alla posizione, la cantina cominciò a prendere piede; qui eravamo in un posto strategico, vicino alla stazione. Anche la cantina Oddero di La Morra aveva uno spaccio qui vicino. Bra era diventata importantissima, comoda per la ferrovia e le strade di comunicazione, potevi arrivare dappertutto.

Mio suocero Matteo nacque nel Novecento. Anche lui venne coinvolto nell’attività e continuò l’opera del padre, ampliandosi ancora nella cantina attuale: era il 1958. Ebbe un figlio che divenne mio marito Giacomo e una figlia che non si occupò mai della nostra casa e del nostro vino. Mio marito, fin da giovane venne spinto a frequentare la scuola enologica di Alba e ricordava quell’esperienza come un incubo. Si era nel periodo della guerra e raccontava che c'erano continui bombardamenti. Loro ragazzi dormivano sotto le arcate delle cantine, quasi fossero rifugi antiaerei. Un'esperienza tragica, perché la guerra qui da noi fu molto combattuta, essendo le Langhe terre di partigiani e di scontri accaniti.

A: Quindi siete sempre rimasti a Bra?

C: Siamo sempre rimasti qua, anche quando la cantina era diventata veramente piccola perché il lavoro cominciava a decollare. Sono stati anni in cui il lavoro principale era andare in giro a vendere i nostri vini e mio marito aveva cominciato a girare all'estero prestissimo. Mi ricordo che quando iniziò questo peregrinare la Camera di Commercio di Cuneo prese a cuore il prodotto vino, perché in quegli anni il presidente era Oddero (titolare di un’ottima cantina, n.d.r.). E allora questi produttori cominciarono  a girare il mondo per proporre il vino piemontese, Barolo e Barbaresco in particolare.

 Mi ricordo che partivano con queste valigette e mio marito è stato uno dei primi. Si lanciavano in questi mercati internazionali e quando tornavano i commenti erano sempre gli stessi: piacciono molto i nostri vini piemontesi, ma li trovano troppo cari, a quel prezzo comprano i vini francesi. Sono stati bravissimi, perché allora il mercato internazionale del vino era in mano ai francesi e la gente conosceva solo quelli. Se conosceva vini italiani, mi spiace dirlo, erano  soltanto vini da taglio o Chianti, neppure il Brunello. I francesi avevano un prestigio che erano riusciti a costruirsi in centinaia di anni, far loro concorrenza era come scalare una montagna. Eppure ci sono riusciti.  Bisogna essere grati a quei pionieri e alla Camere di Commercio che negli anni ‘50 e ‘60 hanno aperto la strada ai produttori che oggigiorno vendono i vini di Langa in tutto il Mondo. Pagando di tasca propria hanno organizzato visite, degustazioni e fiere per promuovere i loro vini.

A: Quando hai preso in mano l’azienda?

C: Mi sono sposata con Giacomo Ascheri a fine degli anni ’50 e abbiamo avuto due figli Matteo e Maria Teresa. I ragazzi sono sempre stati molto studiosi e si sono laureati tutti e due. Matteo a 22 anni era già laureato in economia e commercio, andò subito a lavorare come dottore commercialista. Mio marito purtroppo è morto giovanissimo, aveva 52 anni,  nel 1988. Per cinque anni è stato in dialisi a casa e io mi sono divisa tra le sue cure e la direzione della cantina, sotto le sue indicazioni. Con l’aiuto in cantina di una persona che da anni era con noi sono riuscita ad andare avanti in questo periodo così difficile. Quando Giacomo è mancato, sono venuti in parecchi a chiedermi di cedere la cantina. Mia figlia era ancora laureanda, frequentava l’università a Torino. Allora ho detto a Matteo: io da sola in cantina me la cavo ma certo che riuscire a portare avanti quello che faceva tuo padre, produrre il vino, seguire le vigne e andarlo a vendere... non ce la farò mai. Mio figlio, che lavorava in uno studio tributario, mi ha detto: senti mamma, io chiedo sei mesi di aspettativa a questo studio dove lavoro, e così vediamo come vanno le cose. Semmai prendiamo una persona che segua la parte commerciale.

La conclusione? Adesso Matteo è imprenditore agricolo (oltre che presidente del Consorzio Tutela di Barolo, Barbaresco, Alba, Langhe e Dogliani,n.d.r.), visto che abbiamo tutti i terreni di nostra proprietà. In questi anni siamo riusciti a condurre la cantina direttamente e devo dire egregiamente. Ma d’altronde anche le vigne vanno seguite; una volta le avevamo tutte a mezzadria, poi siamo riusciti a condurle noi direttamente.

Mia figlia ha finito l'università, ha insegnato nelle scuole inglese e spagnolo per tre anni, poi è rientrata in azienda e adesso porta avanti l'Osteria Muri Vecchi che è nata nella nostra casa, nei locali della vecchia cantina sulla strada che in origine fu la cascinotta affittata dal bisavolo Giacomo Ascheri quando si trasferì a Bra.

E questa è la storia della nostra cantina.

Ma la signora Cristina ha ancora molto da raccontarci… Continuate a seguirci.

Antonio Dacomo

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