Quindi queste zone della Gallia meridionale, dalla Provenza all’Aquitania, furono ben presto coperte di rigogliosi vigneti che si sono mantenuti, migliorandosi ed affinandosi nel tempo, fino ai giorni nostri.
Oggi in tutta la Campania ci sono produzioni di pregio che riscoprono vitigni autoctoni e mantengono viva la tradizione del vino di qualità, ma di questo ci occuperemo più a fondo prossimamente con qualche post dedicato all’argomento.
Antonio Dacomo conclude qui il suo interessante viaggio nell’antichità ma già ha pronti diversi altri spunti intriganti per tenerci compagnia nelle prossime settimane.
Dopo l'arrivo dei romani, Burdigala si sviluppò velocemente e finì per diventare una delle città più opulente della Gallia. Nel III secolo d.C. Burdigala diventa capitale amministrativa dell'Aquitania romana, una delle tre parti nelle quali Giulio Cesare aveva diviso la Gallia conquistata. Il poeta Decimo Magno Ausonio, uno degli uomini più colti dell'impero, nato proprio a Burdigala nel 310 d.C., descrive nell'Ordo urbium nobilium e in diverse altre opere le terre verdeggianti di vigne lungo il fiume, elogiando la città come un mirabile territorio di vino. Egli stesso fu certamente proprietario di vigneti e vuole la tradizione che uno di questi sia sempre stato coltivato, fino ai nostri giorni, diventando il famoso premier cru Chateau Ausone.
Quanto all'origine della vite Biturica, gli agronomi romani concordano nella descrizione di una vite importata, più robusta in quanto più adatta ai climi freddi. Per Columella, la vitis Balisca proveniva dall’Epiro e attraverso il porto di Durazzo giunse a Roma; da lì i romani l’avrebbero diffusa in Spagna, dove prese il nome di Cocolubis. Dalla Spagna e in particolare dalla zona della Rioja, molto vicina al Bordolese, la vite giunse al paese dei Bituriges e fu battezzata Biturica. Più o meno la stessa cosa dice anche Plinio il Vecchio, che narra la Biturica come un incrocio tra una varietà importata dai romani e un vitigno selvaggio delle zone della penisola iberica, dandoci nel 71 d.C. la prima prova certa di vigneti nella zona di Bordeaux.
Il nome Bordeaux deriva dal francese “bord de l'eau” che significa "lungo le acque" e fa riferimento all'estuario della Gironda e ai suoi affluenti, Garonna e Dordogna, che svolgono un ruolo fondamentale nella storia e nel successo di questa regione. La posizione lungo l'estuario della Gironda, che garantisce un accesso sicuro alle acque dell’Atlantico, ha fornito fin dalle origini una rotta commerciale ideale con le isole britanniche.
Sulle 31 ville finora scoperte nella campagna intorno a Pompei sembra che 29 appartenessero a produttori di vino. Erano i “Chateaux” di quei tempi, immersi nei vigneti, con le cantine piene di vino che lentamente invecchiava.
Pompei era senza dubbio il più importante mercato dei vini della Campania e della provincia circostante. Con i suoi inverni miti attirava i pensionati di ritorno dalle colonie. Lo stesso Plinio, anche se aveva solo 55 anni, si era stabilito lì vicino a passare in pace gli ultimi anni della sua carriera, con la carica non certo onerosa di comandante del Distaccamento della Marina Militare nella Baia di Napoli. La gente aveva molto tempo da passare nei bar e nei bagni pubblici. Il commercio di vino andava a gonfie vele, i robusti vini locali servivano a rifornire il mercato nazionale e, probabilmente, si esportavano nella colonie i vini più pregiati, tra cui il Falerno, molto quotato insieme a quelli della Spagna orientale e meridionale.
Pompei non solo riforniva di vino la regione di Bordeaux ma in molti modi sembrava anticipare ciò che Bordeaux sarebbe diventata più tardi. Vi è una chiara analogia fra la città romana, centro del commercio vinicolo internazionale, circondata da splendide ville e la Burdigala di due secoli più tardi, quando i suoi mercanti cominciarono ad investire nei vigneti della regione di Graves e del Medoc.
Oggi possiamo visitare gli scavi di Pompei e scoprire che si contavano più di duecento locali che noi definiremmo bar, ancora riconoscibili come tali. In una strada nei pressi dei bagni pubblici ce ne sono otto in un solo isolato, lungo non più di 75 metri. All'esterno di un baretto di poche pretese si possono ancora leggere i prezzi delle consumazioni: il vino veniva servita in caraffe, chiamate curcume, al prezzo di uno, due o quattro assi, (un asse equivale a circa 50 centesimi di oggi). Il “termopolium” era invece un vero e proprio fast food, con il bancone attrezzato per servire pasti caldi e naturalmente mescere generosamente il vino locale.
Giuseppe Prato